Di Sandro Pochesci tutto si può dire tranne che sia arrivato in casa Ternana in punta dei piedi, senza fare troppo rumore e che, soprattutto, se ne sia andato senza lasciare il segno, nel bene e nel male. 

Pochesci, lo hanno detto in tutte le piazze dove ha allenato, o si odia o si ama, ma certamente non è un uomo banale, una persona anonima che non colpisce chi lo incontra, chi ci lavora, chi ci vive a stretto contatto. Non ha avuto paura di mettersi in gioco, di esordire in una categoria per lui del tutto nuova, nemmeno quando Bandecchi presentava il progetto Ternana Unicusano parlando di Serie A, di campionato di vertice e di playoff, nemmeno quando si diceva che arrivare secondi sarebbe stata una sconfitta. Quel suo modo schietto, a volte fin troppo diretto di parlare e di spiegare i suoi punti di vista e le sue ragioni, quell'aria sicura e quel suo essere sempre all'attacco, anche fuori dal campo, ne hanno subito fatto un personaggio, amato da alcuni, meno da altri. La sua Ternana, quella di inizio stagione, era sfrontata, irriverente e guascona, proprio come lui, e proprio come Pochesci spesso concedeva il fianco agli avversari, si dimostrava fin troppo sicura di sè da incappare in errori che ne hanno minato il cammino. Eppure il trasporto per la squadra aumentava, il gioco proposto dalle Fere piaceva e convinceva, nonostante gli errori, i regali, e nonostante più di qualche volta l'allenatore romano fosse scivolato, in campo e fuori. Gli scontri, anche duri, in sala stampa, le urla in campo per spronare quei giocatori da cui avrebbe voluto cavare il sangue e anche di più, e la consapevolezza che a gennaio sarebbe servito uno sforzo da parte della società per mettere a posto le cose, per formare una squadra che potesse togliersi le soddisfazioni che tutti avrebbero voluto. Poi, però, qualcosa deve essersi rotto, il suo essere impertinente e senza filtri ha iniziato a non piacere più a tutti: la fiducia con la condizionale, le tirate d'orecchi, piccoli ma grandi segnali che qualche meccanismo della macchina stava iniziando a perdere colpi, ad incepparsi. Pochesci ci prova a rimanere se stesso, e a rispecchiare il suo essere nel gioco della squadra, ma non è lo stesso: nonostante le dichiarazioni, quel qualcosa che non funziona più bene comincia a ripercuotersi sulla Ternana in campo, che perde mordente, perde colore e sfacciataggine, mostrando tutti i limiti di un organico che dà tutto, ma che forse non è abbastanza per la categoria. Fatali le prestazioni non esaltanti mostrate da Avellino in poi, fatale la volontà di Pochesci di parlare nonostante tutto, di tornare ad essere se stesso, nel bene e nel male. Proprio come la sua Ternana, che contro la Salernitana sbaglia, regala ma non muore mai, pareggiando all'ultimo soffio, anche l'allenatore romano, proprio all'ultimo, torna quello di prima, fa di testa sua. Troppo tardi per salvare la panchina, in una storia che scricchiolava già da tempo, che faceva fatica a riprender quota. 

Finisce così l'avventura di Sandro Pochesci sulla panchina della Ternana, dopo sette mesi in cui, le Fere hanno fatto parlare di sè, hanno stupito, hanno fatto gioire e addolorare, un'avventura piena di sussulti e di rimpianti. Comunque sia andata, dobbiamo a Pochesci quel che gli spetta, il ringraziamento per quanto si è speso per questa squadra, e l'augurio che possa continuare a lavorare per quello che è il suo obiettivo: la serie a

Sezione: In Primo Piano / Data: Mar 30 gennaio 2018 alle 12:00
Autore: Marina Ferretti
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