È il campionato delle città, non dei campanili. Che poi c’entrano, ci mancherebbe, però il senso è un altro. È un torneo dove ogni comunità vive in modo particolare il rapporto con la propria squadra di calcio. Un po’ influisce il fatto che spesso si parla di realtà non metropolitane (anche se Bari, o Catania, così pure per motivi diversi anche Cesena, Modena, Vicenza, si staccano da questa etichetta) e si sente un vincolo di appartenenza del tutto particolare che ultimamente si sta riflettendo anche in uno degli elementi costitutivi della simbiosi fra tifoso e club, ovvero la campagna abbonamenti. In Serie C, quest’anno è stato sfondato il tetto dei centomila abbonati complessivi. Si dirà, con sessanta squadre si fa in fretta ad arrivarci e invece no, facile non è, anzi. In tempi nei quali le alternative offerte dalla tv e dal web riversano valanghe di contenuti (anche per la C) che allontanano grosse fette di utenti dagli stadi, l’ostinata volontà di Francesco Ghirelli («Uno dei nostri obiettivi sarà recuperare il rapporto fra le comunità e le proprie squadre di calcio, che spesso si perde con tanti capelli bianchi e pochi giovani sugli spalti» disse al suo insediamento da presidente di Lega Pro lo scorso novembre) inizia a produrre effetti. Straordinari, in alcuni casi.
MEGLIO DELLA SERIE A. Ci sono società nel massimo campionato che dichiarano un numero di abbonati minore della società al top in Serie C. La Ternana ha optato per una soluzione rivoluzionaria: abbonamenti a 5 euro in tutti i settori tranne in tribuna, dove si è pagato 10 euro, col risultato di aver riempito il Liberati con 12.005 fedelissimi abbonati. Al quindicesimo posto in A c’è il Torino con 12.101, poi cinque club che hanno fatto meno: Cagliari (10.700) e a seguire Verona, Brescia, Spal e Sassuolo.
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