Una doppia mazzata

Stefano D'Alessandro presidente della Ternana Calcio

Ancora la testa va lì: all’incredibile partita che abbiamo vissuto sabato sera. Le paratissime di Plizzari, il suo infortunio, i rigori. Le occasioni sbagliate, davanti alla porta. Il martellamento continuo, 120 minuti di pressione costante.
Poi è scesa la catena. Boom. Tutto giù. Ognuno l’ha vissuta come personalmente se l’è sentita. Lacrime e rabbia, confuse, mischiate insieme. Rammarico e frustrazione, orgoglio e delusione.

I tifosi sono obiettivamente frastornati. Gli ultimi due finali di stagioni sono stati una follia assoluta, un incubo. La Ternana che perde gli obiettivi stagionali all’ultima partita, dopo una grande illusione. E non sappiamo se fa più male questa o quella della passata stagione. Se è più illusorio dominare l’andata o dominare il ritorno. Se fa più male sbagliare un rigore nei novanta minuti o quello della serie. Se il destino deve sempre guardarci storti (un giorno con il compleanno del capitano del Bari, l’altro regalando una serata da eroe a un ex).

Semo nati pe’ tribbola recita un vecchio adagio. Ma a tutto c’è un limite

Nella pancia dell’Adriatico, mentre quasi tutti festeggiavano, si è sentita solo la voce di Liverani: un leone ferito che non si è dato pace per il verdetto del campo, difendendo a spada tratta il suo lavoro e quello dei suoi ragazzi, che stava ancora vivendo l’adrenalina della partita e ci ha messo la faccia, a testa alta. Facendo i complimenti al Pescara ma senza arretrare di un centimetro. Questa squadra non poteva fare di più, anche se in realtà poi negli episodi avrebbe anche potuto girare meglio. E con questo enorme rammarico è venuto a parlare. Ma è stato l’unico.

L’unico a parlare di orgoglio, di identità, di cuore. L’unico a mettere sul tavolo le proprie emozioni. Lasciando andare a briglia sciolta i suoi pensieri quando si è parlato di futuro, che in teoria non dovrebbe essere in discussione, visto il triennale firmato. Ma che il momento non lasciava intravedere.

Il grande assente nella pancia dell’Adriatico e poi nelle 24 ore successive è stata la società. Dopo le (tante) parole di questo finale di stagione tumultuoso non si è fatto sentire nessuno. Né per rimarcare il proprio lavoro, né per sottolineare le proprie scelte, né per rincuorare le migliaia di tifosi rossoverdi, né per indicare una strada, quella del riscatto, che in cuor nostro avremmo voluto fosse resa pubblica. Non è stato detto nulla. Zero. Ne in quel momento né dopo. Neanche attraverso comunicati, neanche a degli orari improbabili. Il senso di appartenenza si è dissolto con i rigori di Pescara.

Ci saremmo aspettati un grazie gigantesco a tutti, in primis all’allenatore e ai giocatori che fino all’ultima energia nel loro corpo avevano dovuto soccombere a una partita balorda (anzi a due). E ci saremmo aspettati anche se si sgombrassero in un battibaleno tutte le voci che si sono accavallate nel mondo del calcio in queste ultime 48 ore che riguardavano proprio la solidità della Ternana addirittura mettendo in discussione l’iscrizione al prossimo campionato. Niente. Silenzio. Un silenzio che però (come nel più classico degli ossimori) fa rumore: perché soltanto pensare che ci possano essere questi problemi fa venire l’ulcera.

Le voci che sono montate, accavallandosi, ingigantendosi, trasformandosi ve lo diciamo noi: non corrispondono alla realtà.
Ma rimane sotto la delusione, ancora cocente per la mancata promozione, c’è un fastidio, un tarlo, che continua a covare. Un tarlo che ha sempre dato fastidio e che è stato messo in disparte alle volte (anche quando non necessario) in maniera brusca. Un tarlo che però è resistente e che a maggior ragione deve essere trattato con serietà e competenza. Perché la Ternana può perdere le finali: sia quelle playoff che quelle playout ma non può mai essere trattata come un bene personale.

Gli affari della Ternana non sono privati, sono pubblici. Sono pubblici come le lacrime versate dai tifosi, come la passione, come i sacrifici, come l’amore che buona parte della città destina a questi colori. Perché le delusioni dovrebbero essere vissute insieme, come le vittorie. La faccia ci va messa sempre, soprattutto quando le cose vanno male. Addirittura, dopo una retrocessione, il presidente Guida, con grandissima dignità, si presentò in sala stampa a chiedere scusa e promettendo di ripartire.

La Ternana è come se fosse retrocessa due volte in due stagioni. Sono delusioni difficili da smaltire. E si può fare solo se davvero c’è serietà, competenza e unione.