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Ripresa, porte chiuse e altri scenari: ne varrà la pena?

Parlare di calcio in queste ultime settimane non è stato semplice: nonostante il pallone che rotola sul manto erboso manchi a tutti come solo un vero amore sa mancare, l'emergenza sanitaria ha risucchiato tutto in un vortice di preoccupazione che, almeno nel momento del picco del pericolo, ha fatto mettere da parte tutto il resto, calcio compreso. Con l'avvicinarsi però del (probabile) termine dell'isolamento generale e il passaggio alla cosiddetta Fase 2, ecco che necessariamente le imprese italiane si trovano catapultate nel dover affrontare la ripartenza e la gestione dell'immediato futuro, e le società sportive non fanno in alcun modo eccezione. 

Ecco, quindi, che dai vertici del calcio italiano partono le prime ipotesi sulle date: il 4 maggio per gli allenamenti, il 31 dello stesso mese per il campionato, da terminare entro luglio, le coppe da assegnare e il calendario della prossima stagione da programmare. Tutto molto bello, ci verrebbe da dire, anche se la serie A non è certamente come la serie C, se non fosse che dai comitati scientifici arrivano i primi paletti e le prime indicazioni, su tutte che se fosse solo per la scienza questa stagione dovrebbe finire qui. Non soltanto lo stop anticipato, però, ma anche l'ipotesi di dover iniziare anche il prossimo campionato senza pubblico, in attesa che venga messo a punto un vaccino contro il covid-19 che permetta di recarsi allo stadio in tutta tranquillità, non solo per le società ma per tutti i tifosi che sarebbero coinvolti. Ecco che allora dalla Figc iniziano a trapelare ipotesi di porte chiuse anche per la stagione da portare a termine, con squadre, magazzinieri, dirigenti blindati in strutture completamente isolate dal resto del mondo, con gli spalti vuoti, con le partite da giocare laddove non ci sia rischio di contagio, una sorta di film fantascientifico al momento attuale delle cose

Non sappiamo come finirà la discussione sulla ripresa o meno dei campionati, e non abbiamo le competenza per suggerire soluzioni sulla gestione di un'emergenza sanitaria di questa portata; quello che però possiamo fare è ragionare sul futuro da addetti ai lavori e da tifosi quali siamo, soprattutto in ottica serie C, dove le risorse economiche non sono illimitate e dove le società si reggono spesso sulle imprese dei singoli presidenti, che hanno già risentito dello stop. Siamo certi che riprendere a giocare questo campionato, senza spettatori e senza di conseguenza entrate per le società, sia la scelta migliore? Porre fine alla stagione in maniera virtuale, studiando i termini per promozioni e retrocessioni a tavolino falserebbe davvero i risultati del mezzo campionato giocato più di quanto non farebbe riprendere a lavorare dopo due mesi? Soprattutto, è davvero necessario privare il calcio di quello che lo rende lo sport più amato del mondo, ovvero la presenza di tifosi e appassionati che ogni domenica riempiono i gradoni degli stadi, colorando e scaldando l'atmosfera, specialmente in una serie come quella della Ternana in cui la risonanza mediatica è davvero limitata? 

Noi non abbiamo le risposte in tasca, ma ci sembra che incaponirsi sulla ripresa a tutti i costi, senza considerare le conseguenze per il "calcio di periferia" non sia sinonimo di ragionare da squadra. 

Marina Ferretti

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